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Caduta dei capelli – chemioterapia

Novembre 2014

Mi lavo i capelli, passo un asciugamano, li strofino, guardo il lavandino e non ne perdo quasi, li conto: uno, forse due, al massimo tre.

Sono forti, tanti, mossi, una piccola criniera! E stanno attaccati al cuoio capelluto, sembrano gridare:

“Non ce ne andiamo! No! No! Ci hanno già fregati una volta…adesso non molliamo l’osso! “

Nel novembre 2013 sono caduti uno ad uno sotto le grinfie del farmaco, nessun superstite.

Ma oggi eccoli! Tutti presenti all’appello, moltiplicati e presenti! In piedi, alti e imponenti sull’attenti, orgogliosi di esser tornati più belli e forti di prima!

Eh già, perchè durante la chemioterapia i capelli cadono, non sempre, ma sovente cadono.

E’ un momento particolare, temuto, vissuto con tristezza e impotenza, nonostante si sia preparate.

I medici ti avvertono, ti danno le tempistiche (solitamente precise e puntuali) perchè tu sappia quando l’evento si verificherà, perchè tu possa decidere se acquistare una parrucca o un turbante o magari nulla…è una scelta assolutamente individuale e molto personale.

Io, in quel periodo, scelsi di cambiare look per qualche mese, acquistai qualche turbante, qualche fascia colorata, un look leggermente orientale…mi piaceva l’idea di essere un po’ diversa dal solito.

Allo specchio mi guardavo con il turbante o pelata: ero sempre io, anche se mi dovevo abituare un po’ alla visione della testa liscia, indifesa, spoglia.

Quando ero in mezzo alla gente mi accorgevo di quanto le persone fossero sensibili a questo argomento, le commesse dei negozi o le cassiere al supermercato erano molto gentili e mi sorridevano, in qualche modo mi dimostravano la loro solidarietà.

Prima del fattaccio, quando andavo in ospedale al centro tumori di Candiolo a fare il clown e vedevo dei pazienti pelati, cercavo di essere il più naturale possibile, anche se la cosa non mi lasciava indifferente.

Essermi trovata dall’altra parte mi ha fatto capire un po’ il vissuto dalle due prospettive.

Non provavo particolare disagio a mostrarmi senza foulard, turbante, bandana…anche se avevo sempre qualcosa sulla testa perchè sentivo freddo.

In ospedale, durante la chemio, capita spesso che le persone si tolgano il copricapo, magari per il caldo, per mettersi in libertà, magari come elemento di uguaglianza, si è tutte e tutti nella stessa situazione.

Mi è capitato diverse volte di sentire dire da familiari di persone ammalate: ” Invece di pensare alla malattia e preoccuparsi di tutto quello che dovrà affrontare…è solo preoccupata per la caduta dei capelli…”

Ci tengo a fare una piccola, ma doverosa precisazione: la caduta dei capelli non è solo una caduta di capelli, ma è la rappresentazione oggettiva della malattia, ti guardi e ti ricordi che stai vivendo un momento difficile, te lo ricordi per forza.

Se poi, eri solita portare i capelli lunghi, il discorso si complica.

Che dire? Tutto quanto scritto fino ad ora è probabilmente noto a tutti, non scopro sicuramente l’acqua calda.

Posso solo descrivere la mia esperienza, il mio stato d’animo, il mio approccio al prima, durante e dopo.

Ero solita portare i capelli molto corti e quando mi è stato annunciato che li avrei persi ho comunque assorbito il colpo.

Quando mi sono resa conto che era arrivato il momento li ho fatti rasare a zero.

Poi, come già scritto, ho indossato turbanti e foulard e ho iniziato a truccare occhi e labbra più del solito, per dare un po’ di colore, attutire la sensazione di malattia.

Se le persone mi sorridevano, sorridevo a mia volta, non ho quasi mai letto compassione negli occhi degli altri, piuttosto tristezza, messaggi di vicinanza. La persona ammalata sa di essere ammalata e sa di essere pelata. E’ un dato di fatto, ma, soprattutto, è un dato di fatto momentaneo, passerà.

I bambini insegnano tanto su questo argomento, ti guardano, fanno domande, chiedono spiegazioni per essere rassicurati e poi ti accettano e ti considerano come prima, devono solo riconoscerti.

Un anno è passato e i miei capelli sono quasi ingovernabili e foltissimi, diventati decisamente mossi e quindi confermo e affermo che i capelli ricrescono !!!

A chi sta vivendo il “momento difficile” suggerisco, per quanto possibile, di vivere questo forzato cambio  di look come uno dei tanti bocconi amari da ingoiare durante il cammino, fiduciosi e speranzosi che possano arrivare  anche quelli dolci… DITA INCROCIATE …SEMPRE!

Emozioni primarie

La mia gestione delle emozioni primarie

applicata al clown di corsia

PAURA

La paura è una delle quattro emozioni primarie, le altre sono la gioia, la rabbia e la tristezza.

Siamo impauriti quando ci sentiamo in pericolo.

E’ fondamentale riconoscere l’emozione che stiamo vivendo, cercare di rilassarci, confrontarci con gli altri, anche solo attraverso lo sguardo, fare richieste di aiuto e supporto.

E’ fondamentale non rimuginare, non chiudersi in se’ stessi e non scappare.

Una persona ammalata è, tendenzialmente, impaurita.

Una persona ammalata di cancro ha paura di morire, di non guarire, di riammalarsi…ha paura

Entra in allarme anche per piccole cose, un raffreddore, un’influenza che fa ritardare il ciclo chemioterapico…

Tiene sotto costante controllo i globuli bianchi perchè dal loro andamento dipende il suo prossimo ciclo di chemioterapia.

E quando i globuli sono bassi, o ha un po’ di febbre, o male alle articolazioni o qualche altro piccolo enorme intoppo… fa capolino  la paura, si presenta alla porta… la paura di non farcela.

Tu… clown di corsia di fronte a questa paura cosa fai?

Eeeeehh…già…bella domanda…difficile risposta…

Se il paziente verbalizza ed esprime la sua paura, vale, a mio avviso, la regola dell’ascolto, degli sguardi dolci, del lasciare uscire dalla sua bocca quello che lo spaventa. E dopo, sempre molto delicatamente, intervenire con un palloncino, sottovoce e in punta di piedi.

Se il paziente non verbalizza e non esprime la sua paura…tu, clown di corsia, tienine conto sempre e comunque.

Sii delicato, rispettoso, dolce, affettuoso, anche quando lui sembra tranquillo, sorridente, sereno … perchè lui è come una formichina coraggiosa, ma impaurita, che ce la mette tutta “a salire una salita” di cui fa fatica a vedere la cima…

TRISTEZZA

La tristezza è una delle quattro emozioni primarie, le altre sono la gioia, la rabbia e la paura.
Siamo tristi quando subiamo una perdita, ci sentiamo abbandonati, assistiamo direttamente o indirettamente ad eventi dolorosi.
E’ fondamentale riconoscere l’emozione che stiamo provando, vivere il momento, la situazione, il periodo triste cercando di rilassarci, di condividerlo con altre persone attraverso lo sguardo, Il contatto fisico, provare a distrarci e a farci coinvolgere dagli altri in maniera delicata e dolce.
E’ fondamentale non sdrammatizzare né minimizzare la tristezza.

E, quando ad essere triste è un paziente in una stanza di ospedale? Quando la tristezza traspare dai suoi occhi?
Quando appena ti vede si commuove?

“Tu…clown di corsia cosa fai?”

Ricordo una signora all’IRCC (Istituto per la ricerca e la cura del cancro) di Candiolo che, all’ingresso in stanza mio e delle mie compagne clown, ha iniziato a piangere e a raccontare dei figli che non erano in Italia, della malattia, della paura, della tristezza.
E noi zitte,  in silenzio, la guardavamo, le nostre borse piene di palloncini, magie, tutte colorate appoggiate a terra…
Poi lei si è asciugata le lacrime e ci ha guardate e noi piano piano, delicatamente, le abbiamo chiesto se potevamo farle un regalo, un palloncino a forma di fiore e lei teneramente ha detto di sì.
Dopo il suo sfogo ha abbozzato un sorriso, ha preso il fiore e dopo abbiamo chiacchierato un pochino e l’ambiente si è rilassato.
Accogliere la tristezza dei pazienti, quando manifestata, è l’unica cosa che si possa fare.
Ascoltare, guardare dolcemente, in silenzio… poi … eventualmente … parlare.

RABBIA

La rabbia è una delle quattro emozioni primarie, le altre sono la gioia, la paura e la tristezza.

Siamo arrabbiati quando subiamo un’ingiustizia o un sopruso.

E’ fondamentale riconoscere l’emozione che stiamo vivendo, sentire la rabbia che proviamo, essere consapevoli che qualcosa o qualcuno ci infastidisce, è buona cosa riflettere sull’esprimerla. A volte è meglio posticiparne l’espressione.

E’ fondamentale non accumulare rabbia, tendenzialmente se la si accumula, si rischia di esplodere.

Quando siamo ammalati, anche solo per una banale influenza, un’emicrania, dolori vari e comuni, siamo infastiditi. Se il malessere è di una certa rilevanza il fastidio può trasformarsi in rabbia.

Un ammalato di tumore è arrabbiato, non costantemente,  ma, sicuramente, durante il decorso della malattia, ha provato, almeno una volta, la rabbia.

Rabbia in seguito alla malattia che lo ha colpito, rabbia in seguito a situazioni viste negli ospedali durante le cure, rabbia in seguito a morti preannunciate e poi verificatesi di persone incontrate durante il cammino.

Rabbia che porta l’individuo a urlare “Non è giusto… …” .

“Tu clown di corsia di fronte a questa rabbia cosa fai?

Cosa fai, quando, entrato in stanza, ti imbatti in due occhi sfidanti?”

Occhi che ti guardano e sembrano dirti “Io sto male, non sai cosa si prova…”

Mi è capitato una decina di anni fa all’IRCC (Istituto per la ricerca e la cura del cancro) di Candiolo .

Eravamo un gruppo di tre clown donne, amiche oltre che compagne di associazione, ci conoscevamo bene e questo ha aiutato la difficile situazione in cui ci siamo trovate. La forza  e il sostegno reciproco dei clown in servizio sono importantissime.

Ci affacciamo alla stanza, chiediamo se possiamo fare un saluto, ci viene risposto di sì.

Una volta entrate, vediamo una giovane donna nel letto con il marito accanto, in piedi.

Lei, due occhi grandi, neri, magra, un pochino seria.

Cerchiamo di sintonizzarci con l’atmosfera trovata e assumiamo anche noi un’aria un pochino seria. A voce bassa ci presentiamo e spieghiamo  che siamo preparate per fare spettacoli a richiesta, possono fare delle richieste e noi cercheremo di fare del nostro meglio.

“Se riuscite a farmi uscire di qui, a guarire…”, ci guarda, secca, seria …

Silenzio…

Eh sì, sembra che il silenzio aiuti sempre in queste situazioni molto complicate.

Noi tre clown ci siamo guardate, una frazione di secondo, per supportarci, per non crollare, tenere duro, stare …stare… stare…non scappare…

Lei ci ha guardate a sua volta,  più rilassata, come se avesse buttato fuori il rospo.

Noi, timidamente, con rispetto e attenzione,  le abbiamo detto che avremmo potuto farle un regalino, un po’ di colore…quello che più le piaceva fra le cose che sapevamo fare…abbiamo abbozzato un sorriso, più con gli occhi che con la bocca.

Il suo viso non era più così serio e sfidante…ma triste.

La rabbia come spesso accade, se si guarda un po’ dentro le cose, se si scava all’interno delle emozioni, va a braccetto con la tristezza.

E’ giusto e sacrosanto che un paziente oncologico esprima e butti fuori la rabbia che ha dentro.

Il compito del clown di corsia è quello di accogliere la rabbia , prenderla sulle spalle, cercare di portarla fuori dalla stanza.

E questa rabbia si sommerà molto probabilmente al senso di tristezza e di impotenza che ha provato.

Condividere esperienze come questa con i compagni di servizio e di associazione è assolutamente necessario, per poter continuare a vestirsi da pagliaccio in certi frangenti e non sentirsi inadeguati, per non demotivarsi, per  non spaventarsi… per andare avanti!

Dopo tutto…il clown …è una cosa seria…

GIOIA

La gioia è una delle quattro emozioni primarie, le altre sono la tristezza, la rabbia e la paura.
Siamo gioiosi dopo un successo ottenuto, dopo aver avuto soddisfazione per qualcosa.
Siamo gioiosi quando facciamo qualcosa che ci piace, per ognuno di noi può essere una cosa diversa: leggere un libro, ascoltare musica, fare sport, guardare un film, studiare, lavorare, vedere un amico, andare al parco col proprio figlio, condividere emozioni e sentimenti intimi con altre persone…
E’ cosa sana e giusta esprimere la gioia, starci un po’ dentro… come fosse una coccola,.
Non è cosa sana e giusta bloccarne l’espressione, minimizzarla, dire a noi stessi che quella lì non è tanto una roba su cui gioire…che essere così contenti è un po’ infantile…
E i pazienti gioiscono?
Anche se sono in ospedale?
Anche se combattono una battaglia a denti stretti?
La riposta è sì… Gioiscono, sono attimi di gioia …intervallati da attimi di paura, terrore, tristezza, ma sono comunque preziosissimi attimi che vale la pena di vivere appieno e danno la forza per affrontare gli altri attimi…quelli brutti.
Qualche anno fa, all’IRCC di Candiolo (Istituto per la ricerca e la cura del cancro) un signore di mezza età, distinto, ci fa gentilmente entrare in stanza e fa un po’ comunella con l’unico uomo clown del gruppetto, eravamo in tre.
Qualche battuta sull’eterna diatriba uomo donna, lui era molto serio, uno humour inglese, sofisticato. Dopo poche battute prende in mano la situazione e dirige lui i giochi, facendo il “Clown Bianco” in modo impeccabile e “costringe” noi tre a fare gli “Augusti improvvisati”.
Il Bianco in una coppia comica è la persona seria, capace, quello che indirizza e rimprovera l’altro… nella coppia Stanlio e Ollio il Bianco è Ollio.
Sul momento avevo pensato che questo signore facesse un mestiere direttivo, di responsabilità, di comando… avevo pensato che in quel frangente riproponesse quello che faceva nella vita… dirigere gli altri!
Magari è così, magari no…magari quella era solo una sua modalità per entrare in contatto con noi, per distrarsi, per sorridere un po’.
Quello che so è il profumo dell’aria ridanciana e seria, bianca e augusta, respirata in quei dieci minuti… un profumo buono, un attimo di gioia.